Terzo album per Elias Nardi (album della settimana su Fahrenheit
di Rai Radio 3) tra
atmosfere jazzate e Medioriente per fiori fragili che disegnano un tazebau dei
cimiteri di guerra delle Fiandre Occidentali.
Dal punto di vista musicale,
questa volta, Elias presenta un album forte, armonicamente più compatto ma che
non manca di sperimentazione pura ed approfondita ricerca sonora.
Già dalla copertina, con i fiori che seccano al sole, si può
intravedere la bellezza di questo lavoro; quei fiori che hanno la forza di
rappresentare gli uomini soldato strappati alla loro quotidianità per una
guerra di solito mai voluta da loro sono quasi un manifesto dei nostri tempi,
come i legami strumentali sono in questo lavoro il manifesto musicale di
un’artista unico.
Flowers of Fragility è musicalmente influenzato
dal rock progressive e da un jazz in chiave moderna, con un passepartout che
collega direttamente alla tradizione mediorientale grazie alla presenza sonora
di un liuto arabo che diventa il fulcro di uno spartito musicale intrecciato e
complesso. Un po’ come le sonorità delle tradizioni salentine, rivisitate da
grandi nomi negli agosti infuocati della pizzica.
Ma veniamo a questo lavoro, ascoltato con attenzione nelle ore notturne (le uniche ormai che ci restano per dedicarsi a questi piaceri).
Ma veniamo a questo lavoro, ascoltato con attenzione nelle ore notturne (le uniche ormai che ci restano per dedicarsi a questi piaceri).
Flowers of fragility, pezzo di apertura di questo lavoro, è un brano dalle
sonorità uniche; un’apertura dolce come spesso accade anche nelle serate di
pizzica contaminata dai grandi maestri, un brano, unicamente strumentale tra
world music, folk venato di jazz, insomma una via di mezzo tra tradizione e
modernità. Come fare a non avere fra le mani la splendida copertina realizzata
dal pittore Pol Bonduelle (guarda caso fiammingo) e farsi ispirare,
un’ispirazioni che tra musica e pittura ci riporta alla mente certi suoni di
una Anna Phoebe componente della Trans Siberian Orchestra, presente in lavori
progressive con i Jethro Tull che lo scorso anno ha calcato il
palco della Woodstock salentina de La Notte della Taranta diretta da Phil
Manzanera? Insomma, in due Le coeur de Nina con l’oud arabo impugnato da Elias
Nardi e l’iniziale jazz minimale proposto si merita il prosequio della
precedente traccia. Qui, la soffusa ritmica del brano lascia spazio ad un
ancestrale violino ed ad un organetto che ricama sapientemente atmosfere surreali.
L’introduzione del flauto e l’armoniosità complessiva della struttura musicale
fanno di questa seconda traccia un altro momento di piacevole ascolto. Ecco
cosa ci sembra questo disco, già al secondo brano riprodotto: un composto di
strumenti acustici ed elettrici (basso) che mettono in risalto una delle
tragedie più assurde che l’uomo è riuscito a concepire: la guerra che strappa i
soldati ai propri affetti. E sembra di ritrovarsi proiettati in un film non a
colori (come la bellissima copertina) ma in bianco e nero. E stavolta, qui c’è
arte, arte musicale.
Afsaneh dimostra quanto sia forte e
straordinaria la tecnica di Elias Nardi, una tecnica che mi fa ritornare ancora
a quella notte di Manzanera ed alla presenza di un altro grande strumentista
come Raoul Rodriguez, chitarrista di flamenco che vanta collaborazioni con Kiko
Veneno, Martirio, Cara Oscura. Qui le armonie delle corde hanno il sopravvento
“solistico” e si presentano all’ascolto con una tecnica davvero encomiabile. Un
brano che percepisci con un gusto unico, perché unico è il modo di arrivare a
quell’armonia compatta che con questa seconda produzione Elias Nardi ci propone.
Il dono è un gioco armonioso dove le
atmosfere tipicamente arabeggianti non puoi non notarle. La maestria del gruppo
la percepisci in tutta la sua completezza perché, quella prodotta, è una vera e
propria art emsamble. Le contaminazioni qui sono forti, palpabili, le
percepisci dalla prima nota. Che splendore questo brano, tra cambi di ritmo ed
un’unica armonia appositamente inventata, Elias sembra che abbia voluto offrire
ai propri estimatori un regalo inaspettato. Sarà, ma il titolo è proprio
azzeccato come tutto il contenuto musicale.
Impermanenza è una sorta di piccola suite
dove i sequenziali tempi del violino in apertura del brano, sono poi
incorporati ed abbracciati quasi dagli altri strumenti. Il pezzo, anche se
composto da Didier Francois ben si amalgama nella concettualità sonora proposta
complessivamente con questo album. Il lavoro di ricerca sviluppato fin qui non
può né deve essere sottovalutato, non fosse altro che a contribuirvi sono tutti
i musicisti chiamati a coadiuvare Nardi. E questa maturazione parte già da
lontano grazie anche a collaborazioni avute con certi nomi come quello di
Tavolazzi, che lascia una notevole eredità di pensiero anche nella concezione
di questa nuova produzione. E comunque sia, Elias Nardi Group dimostra che il concetto multietnico
della loro musica va oltre, e quanto!
Riflessioni ci porta sin da subito ad
immaginare i cerchi concentrici creati da un sasso lanciato in uno stagno, onde
che si ripetono e si susseguono, quasi martellanti, come martellante e soffusa
è la ritmica del basso. Sono poi i suoni di una armonica danza araba ed una
viola a far da contr’altare. Si, la viola che ci riporta a note che ben
conosciamo, quelli di un John Cale sperimentatore e contaminatore velvettiano.
Questo brano è di certo un altro capolavoro per un caso unico di musica, e si
perché tutto qui, in questo album è unico.
17774 Preludio alla vita spicca in particolar modo
per il solo di contrabbasso che dura 1.57. Ascoltarlo basta perché anche qui si
è proiettati “oltre” il suono. Basta sognare … e quello non è proibito, anzi
sembra ormai l’unica cosa che ci resta.
Qui ora giungiamo al vero gioiello dell’intero album, La Barca Ubriaca, ottava traccia di un vero e proprio concept progettato con
cura, fatto soprattutto di ricerca musicale. In questo brano c’è tutta
l’essenza di un gruppo che fa della musica colta, ricerca sonora, umana ed
oserei dire anche solidale. Qui le idee messe su nastro sono tutte
opportunamente miscelate a portata non solo di chi come noi è abituato a certi
suoni. E’ vero non c’è il rock qui ma alcune timbriche e alcune influenze si
sentono. La Barca Ubriaca è la compendio delle complessive nove tracce che
compongono Flowers of fragility, è la sintesi di suoni unici, evocativi di una
sperimentazione e di una costante ricerca sonora e non solo.
A chiusura troviamo Sine Nomine introdotta dal bandoneon che ci ha
accompagnato in questo nuovo percorso di Elias Nardi. Anche qui, le tessiture
strumentali sono tutte affidate ad un basso che di armonico ha tutto, sia nel
suo tam-tam che nella sua compattezza. Il brano chiude degnamente questo lavoro
da considerarsi un vero concept, proprio per il modo in cui è stato ideato.
Probabilmente molti si chiederanno quanto questo album, così
musicato, possa avere a che fare con il concetto comune di progressive che
abbiamo. In verità me lo sono chiesto anch’io, poi ripercorrendo le esperienze
de “La Notte della Taranta” mi sono dato una risposta: la musica è qualcosa che
va al di là dei generi e degli stereotipi. La musica è ben altro. Potrebbe
benissimo starci dentro anche Elias Nardi Group, anche se qualcuno sta pensando
a al colpo grosso con lo stesso Manzanera.
Sarà, ma se Elias Nardi non lo si pone tra i “progressisti”
dei suoni, allora, dove pensiamo di collocarlo?
Io lo so, ma non lo dico. Nel frattempo ascoltate questa bella produzione.
Io lo so, ma non lo dico. Nel frattempo ascoltate questa bella produzione.
Recensione
scritta per Psycanprog il 10 Marzo 2016
0 commenti:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.