Lo abbiamo contattato in occasione del suo ultimo libro “I 4 CAVALIERI DELL’APOCALISSE Peter Green, Jimmy Page, Jeff Beck, Eric Clapton” e ne è nata questa piacevole intervista.
Raffaele Astore: I 4 Cavalieri dell’Apocalisse è un libro su chi ha
stravolto l’uso della chitarra nel rock. Cosa ti ha spinto a raccontare tutto
ciò?
Max Stefani: Più che altro i 4 sono stati il pretesto per fare una bella storia
di quello che era Londra negli anni sessanta. Tutto sommato a me, come studioso
e appassionato, interessava questo. Il mio primo arrivo a Londra è del 1967, 16
anni, quindi per me sono gli anni della crescita, quelli più importanti e
Londra mi ha segnato parecchio. Poi ovviamente sono i quattro chitarristi
inglesi (ma c’è anche tanto Hendrix dentro) più importanti di quegli anni e quindi ecco il
perché dei ‘Cavalieri dell’apocalisse’.
Raffaele Astore: Come è maturata la scelta di lavorare su questi
quattro nomi: Peter
Green, Jimmy Page, Jeff Beck ed Eric Clapton. E’
una questione di feeling o qualcosa ti è stato suggerito dalla classifica dei
100 migliori chitarristi secondo Rolling Stone?
Max Stefani: Non ho bisogno di Rolling Stone per sapere quali sono i chitarristi elettrici inglesi
bianchi più influenti. Li ho scelti perché sono fondamentali e anche i più
famosi ovviamente, perchè altrimenti dovrei citare anche i vari Albert Lee,
Hank Marvin, Richard Thompson etc. E poi per un verso o per l’altro sono i miei
preferiti. Specie Green. Anche se ogni volta che lo vedo mi viene da piangere.
Ma sembra felice con il suo hobby della pesca. Sigh.
Raffaele Astore: Per realizzare questo libro sei stato in giro per
Londra andando a rivedere i posti in cui avevano suonato. Cosa ti è rimasto di
quel tuo girovagare “sonoro”?
Max Stefani: E stato bellissimo. Un deja-vu pieno di nostalgia per il tempo che
fu. Avevo 16 anni, e ne dimostravo 14, la prima volta che ho passato 2 mesi a
Londra. Al di là della musica, mi accorsi che era un altro mondo. Non solo per
le mie prime canne di erba. Quella Londra, sporca, con i muri anneriti dai
riscaldamenti a carbone, i bus aperti, quella nebbia che non esiste più che
dovevi camminare con le braccia tese in avanti per non rischiare di sbattere
contro un muro o un cartello, Soho con i suoi locali equivoci ma soprattutto i
posti dove si suona rock come il Marquee, il Flamingo, lo Speakeasy, il Bag
O’Neils, l’atmosfera inebriante che si percepiva,
l’assoluta libertà di esprimersi vestendo o suonando, i colori che permeavano
l’aria quando in Italia era tutto grigio, mi fece capire che l’Italia era
troppo stretta per me e soprattutto che il rock doveva in qualche modo far
parte della mia vita pur essendo cosciente di essere nato nel paese sbagliato,
ma ho capito che il rock era molto di più: un atteggiamento, un modo di fare le
cose, di affrontarle.
Raffaele Astore: Leggendo il tuo bel volume ci si accorge
dell’immenso lavoro che hai realizzato. La cronologia e la paziente
meticolosità che ci hai messo dentro ci fa capire che non deve essere stato
facile. Spiegaci meglio come hai fatto?
Max Stefani: Sono partito da un bel libro di un
amico norvegese ‘Strange Brew’, che mi ha dato le basi. Anche se solo su Green
e Clapton. Poi da lì ho tolto il superfluo e aggiunto un 60% di materiale
nuovo, andando a scartabellare su un centinaio di libri, biografe, siti,
interviste nonchè i miei ricordi. Solo di libri ho speso circa 700 dollari.
Come scrive il mio amico Trombetti nella seconda introduzione ”lo stile è
quello inaugurato sul piacevole ma defunto mensile “Outsider”, tutto o quasi
viene lasciato spiegare in prima persona da chi veramente c’era, attraverso
parole e situazioni cristallizzate nel momento in cui queste si sono
verificate. Recuperando in modo certosino e facendo un collage di frasi
strappate a interviste dai più famosi e diffusi periodici specializzati
dell’epoca, ricostruendo, al tempo stesso, una sequenza cronologica degli
avvenimenti che permette di calarsi in quel periodo ribollente ogni volta che
prendi il libro in mano…. Un po’ come sbirciare da una macchina del tempo e far
finta di essere nella Londra della seconda metà degli anni sessanta. Sbavando
per non esserci davvero”. E’ stato faticoso, non lo nego, ma mi sono anche
divertito. La visita agli ex studi Decca, la partita al biliardo dove stava il
Klook Kleek, curiosare dentro il condominio del defunto Marquee, bussare al Bag
‘O Nails chiedendo di farti curiosare dentro giacchè adesso è un club privato,
il Flamingo Club….. Wardour Street, gli studi Olympics… Ancora oggi se giochi
di fantasia puoi fare un viaggio nel tempo.
Raffaele Astore: Nel libro c’è tutta la Londra del periodo
sessanta, dai gruppi ai locali storici, alle groupies ma anche alle
registrazioni. Londra è ora musicalmente cambiata, secondo te in meglio o in
peggio?
Max Stefani: Ovvio. In peggio. Quegli anni sono
stati un’esplosione di energia senza eguali, irripetibili. Ma è sempre meglio
della nostra povera italietta. A Londra è migliorato solo il clima. E’ sparita
anche la nebbia. A quei tempi funzionava tutto a carbone, immagina te che
poteva essere.
Raffaele Astore: Questi quattro Cavalieri hanno, secondo
te, dei papabili eredi? Se si quali e perché, se, no, perché?
Max Stefani: Hendrix non era un mostro a
suonare la chitarra.
Voglio dire, molti metallari successivi erano più capaci tecnicamente. Steve
Vai, Satriani, Malmesteen…
Bisogna chiedersi perchè nessuno ha ritrovato il suo feeling. Forse in parte
Steve Ray Vaughan? Come nessuno ha ritrovato la sensibilità e il tocco di
Green. Se metti ancora oggi una Fender in mano a Beck rimani a bocca aperta. Ma
questo discorso vale anche per la pittura, il jazz, il cinema italiano, gli
scrittori, la scultura…. sembra proprio che il genere umano nel campo delle
arti abbia già dato. Forse il design ha un futuro…
Raffaele Astore: Beck, Clapton, Page hanno avuto in comune
gli Yardbirds, Green prima i Bluesbreakers poi i Fleetwood Mac. Sarebbero
ugualmente diventati quello che poi hanno rappresentato nel mondo del rock e
del blues senza questi gruppi?
Max Stefani: Penso di no. Sono state esperienze
fondamentali. In quei pochi anni hanno raggiunto tutti e quattro altezze
vertiginose. Mai più ritrovate in futuro. Green per problemi di salute mentale
e forse l’unico che avrebbe potuto ancora crescere. Clapton nel tunnel
dell’eroina ma aveva già dato il suo massimo. Con Beck si può arrivare al 1975
e con Page alla morte di Bonham anche se ci è arrivato con il fiatone. Tutto
quello che è successo dopo ai quattro non è lontanamente paragonabile a quanto
espresso in quegli anni. Ma vale anche per molti dei protagonisti di quegli
anni.
Raffaele Astore: Jeff Beck ed Eric Clapton due destini a
volte in comune ma poi ben diversi. Eppure il primo disse NO ai Rolling Stones.
Secondo te, è stato un bene per la sua carriera?
Max Stefani: Dubito che Keith e Mick avrebbero
mai preso Beck. Lo conoscevano bene e sapevano quanto fosse poco attendibile.
Gli Stones erano (sono) una macchina bel oliata. Molto meglio uno remissivo e
obbediente come Mick Taylor. Talmente remissivo che alla fine l’hanno allontanato
trovando un perfetto compagno di baldorie in quel caciarone di Ron Wood.
Raffaele Astore: A proposito di Eric
Clapton, lo
hai inserito in ordine sulla copertina del tuo libro dopo Jimmy Page. Forse per
il fatto che è stato lui stesso a dichiarare “Non c’è nulla che mi piaccia dei
Led Zeppelin. Anzi, non è stato semplice dissociarsi dai paralleli politici
fatti tra noi e loro. Questo tra l’altro è uno dei motivi per cui ho lasciato i
Cream”, o per pura casualità? Sai leggendo il tuo libro uno ci pensa a queste
cose!
Max Stefani: No no. E’ stato un errore. La
grafica non si è accorta che dovevano essere in ordine alfabetico e ha
preferito metterli come sono nel montaggio fotografico. Forse a ragione.
Clapton ha lasciato i Cream perchè non sopportava più quei due litigiosi a
fianco e perché si era stufato di stare al centro della scena. Voleva più
discrezionalità. Sia lui che Baker ce l’avevano con i Led Zeppelin perchè
qualcuno aveva asserito che l’hard-rock era nato con i Cream e loro questa cosa
la rifiutavano in blocco. Ultimamente li ho visti insieme a un vernissage per
l’uscita del libro fotografico della figlia di Page, erano amiconi. Come è
anche giusto. Sono passati talmente tanti anni. A quei tempi erano ragazzi.
Raffaele Astore: Secondo te chi è stato il più geniale tra
loro quattro?
Max Stefani: Dipende. Come genialità Beck. Come
sensibilità Green. Come ‘uomo d’affari’ e ‘direttore d’orchestra’ sicuramente
Page. Clapton tutto sommato è quello più anonimo. Anche se ovviamente Cream,
Blind Faith e Derek and Dominos sono un bel palmare. Anche il disco con Mayall,
quello chiamato ‘Beano’. Non tanto per la qualità (6+) ma non si era mai visto
un disco blues nelle charts inglesi. Funzionò da apripista.
Raffaele Astore: Per tua scelta personale hai deciso di non
“regalare” questo libro alle case editrici. Non è di certo una scelta di poco
conto. Come è maturata?
Max Stefani: Ho fatto l’editore a cominciare dal
1977, quando ho capito che non volevo dover rendere conto a nessuno. Infatti
il MUCCHIO l’ho sempre gestito come una cosa mia, come in
effetti lo era. Molti collaboratori importanti non hanno mai digerito che non
facevo riunioni di redazione. Che consideravo inutili. Comunque, non mi va di
‘regalare’ un mio libro a qualche casa editrice, sia Arcana, Giunti o
Mondadori, solo per la soddisfazione di vederlo nelle librerie ben esposto per
una settimana. No, grazie. Per fortuna non ho più bisogno di questo genere di
cose. Uso la parola ‘regalare’ perché poi ti danno due soldi, se riesci a farteli
dare. Poi ultimamente l’Arcana fa scrivere libri a porci e cani. Insomma che
gusto c’è a buttare sul mercato libri già in partenza inutili? Ci sono
centinaia di libri in inglese ancora mai tradotti in italiano che stanno lì ad
aspettare. Purtroppo lì i diritti bisogna pagarli prima. Ecco il problema.
Certo, farle un libro ‘home made’ è molto più impegnativo e rischioso ma se va
bene almeno ci paghi l’affitto a fine mese. Fondamentale per me che, dopo la
chiusura di OUTSIDER, sono inoccupato e con una pensione in arrivo
prevedibilmente molto bassa. Ho sempre fatto la vita da rocker e un rocker non
paga mai i contributi. Vive alla giornata no?
Raffaele Astore: Ci sei rimasto male per la chiusura
di OUTSIDER?
Max Stefani: Certo. E’ il più bel giornale che ho
diretto, per come era costruito l’unico modo per far sopravvivere un giornale
oggi. Anche come scelta del target. Purtroppo proprio nel momento in cui
eravamo in pareggio e crescevamo mese per mese, quindi con la prospettiva di
andare avanti per anni anche con un buon profitto economico, il mio ‘mecenate’
ha chiuso i rubinetti. Senza neanche avvertirmi con un certo anticipo. Credo
che la colpa sia stata delle donne che avevamo intorno. Come spesso succede. Ne
siamo usciti tutti con le ossa rotte. E non siamo neanche riusciti a trovare un
editore che subentrasse, pur proponendo un prodotto già avviato e in salute. Un
vero peccato. Il più felice penso sia stato Carù, perchè stavamo rosicchiando
al BUSCADERO tutte le copie. Come sarebbe stato anche giusto visto il
‘conflitto d’interessi’ che accompagna quel giornale fin dalla sua nascita.
Comunque la collana di libri partita con i ‘4 Cavalieri’ può essere considerata
una sorta di prolungamento di OUTSIDER.
Insomma, per farla breve, anche con Max
abbiamo toccato …. il cielo …. E come fai a non toccarlo quando parli di musica
(e non solo).
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