Abbey
Road è il
dodicesimo album nella discografia dei Beatles ed è del
1969. Ha una struttura unica rispetto a tutti i lavori fin lì prodotti dal
gruppo di Liverpool e per questo basti pensare al lato B che è costituito quasi
interamente da un lunghissimo medley in cui ballate e brani rock and roll si susseguono senza soluzione di
continuità, con temi ripresi e variazioni, fino a un imponente crescendo
finale. Una formula che anticipa le suite che caratterizzeranno gran parte della
produzione rock degli anni settanta. Fra i temi che si
susseguono ce ne sono molti divenuti celebri, da She
Came In Through the Bathroom Window a Golden
Slumbers, fino al celebre finale, in cui il potente crescendo introdotto
da Carry That Weight si
risolve all'improvviso nella delicata melodia di The
End, una canzone di una sola strofa con un verso che John Lennon definì
«cosmico e filosofico». Ma qualcosa si stava rompendo …..
Sono sempre
in giro per “la musica”. Le loro sono lezioni alle quali è difficile mancare e
se manchi son fatti tuoi (non ti chiederanno di sicuro la giustifica). Di
certo, quando si parla di Ernesto Assante e Gino Castaldo, si può dire di entrare
in una “scuola diversa”, una scuola dove la musica è tutto. Li abbiamo
incontrati in un tipico locale del Salento a gustare quello che è il “nostro
buon desinare”, e forse un po’ ci dobbiamo scusare con loro per aver rotto
l’idillio con il santo cibo. Ma si sa che quando si parla di musica, quando poi
oggetto di argomento sono i Beatles, anche loro son capaci di rinunciare alla “lentezza
di un pasto” tipicamente salentino. Non c’è da dire molto su questi due
professori perché di loro si sa già tutto. Enciclopedici di sicuro …. e come
fai a non diventare un bravo studente quando hai professori così?
Raffaele Astore Ultimo album in studio fatto dai
Beatles ma che ha anche aperto una nuova ondata rock
Gino Castaldo Abbey Road, così come il White album anticipano un po’ le cose
che verranno dopo, certo non è possibile definirlo come l’album che precorre il
progressive in quanto poi per progressive noi intendiamo una cosa diversa; di
sicuro, quando hanno cominciato a fare i dischi decisamente progressive un pensiero lì c’era, se non altro per
l’apertura straordinaria anticipata dal quartetto. A me piace in particolare
riferirmi a certi pezzi, a certe aperture specifiche di Abbey Road tipo Chuck Berry o Mel Tormè, loro, i
Beatles, erano delle spugne che assorbivano tutto e riuscivano poi a
moltiplicare anche l’esito di queste ispirazioni.
Ernesto Assante
Credo che sia il disco più completo della produzione beatlesiana perché
per quanto fossero alla fine della loro avventura, litigassero, si parlassero
poco e compagnia bella, erano coscienti di fare l’ultimo capitolo di una storia
che era stata straordinariamente bella e importante, quindi in questo parte
finale mettono tutto, appunto elementi di progressive e di futuro, elementi di
r’n’r e di passato, il risultato di ciò è il long meddle del secondo lato che è
un gioiello, è l’elemento di una fusione di due creatività, quella di Lennon e
quella McCartney. Ci sono i due brani più
belli della produzione di George Harrison, insomma, tutte le anime dei Beatles
sono rappresentate in un’opera unitaria forse più unitaria di quella
rappresentata dal doppio bianco, e certamente più coesa di quella di Let it be
che, come sappiamo chiude, ma è un disco messo assieme forzatamente e non realmente
prodotto da loro. Tutti hanno amato Abbey Road, mi è difficile trovare qualcuno
che non consideri questo prodotto un album essenziale.
Raffaele Astore In questo
disco ci sono tante situazioni che fanno da contorno: l’ipotetica morte di
McCartney, l’allontanarsi sempre più di Lennon, le mistiche visioni di Harrison,
ci sono tante sfaccettature in questo disco, Abbey Road raccoglie tutti questi
elementi che non sono secondari soprattutto se pensiamo a quello che i Beatles
hanno rappresentato dopo il loro scioglimento.
Gino Castaldo Vi è da dire
che il disco è composto come un grande mosaico. Ad esempio c’è “Come Together”
che sembra a tutti gli effetti un pezzo del Lennon solista, addirittura poteva
starci bene nel suo primo album proprio da solista, ci sono le individualità
molto estremizzate dei quattro scarafaggi che però, per una specie di miracolo
dovuto al fatto che era nata una sorta di consapevolezza che quello sarebbe
stato l’ultimo atto, erano divenute ormai fortissime e poco conciliabili fra di
loro, nonostante ciò però i Beatles riescono in due tre mesi di lavoro a
ritrovare la magia quasi delle origini come non accadeva da almeno un paio
d’anni.
Ernesto Assante
Credo che quello che tu dici è sostanzialmente vero, nel senso che il disco
li rappresenta nella fase finale della loro avventura nella maniera più
completa ma anche in quella più sfaccettata. Le ragioni dello scioglimento
dei Beatles non sono una in realtà sono
tantissime, e quindi non c’è mai un vero responsabile: è sicuramente colpa di
Paul, è sicuramente colpa di John, è sicuramente colpa di George, è sicuramente
colpa di Allen Klein il manager che arrivava a seguito della morte di Brian
Epstein che tra l’altro era anche il manager dei Rolling Stones, è sicuramente
colpa di Yoko come è sicuramente colpa della moglie di McCartney, era forse
inevitabile, i Beatles in qualche modo erano decisamente arrivati alla fine, ed
era inevitabile che Abbey Road diventasse il disco che unisse di nuovo tutte
queste tensioni per qualcosa di estremamente positivo.
Raffaele Astore In questo
disco ci sono dei suoni leggermente diversi dai soliti canoni. Ad esempio si
scopre l’introduzione del moog, ma anche la realizzazione di sinfonie diverse
da quelle a cui, fino a quel punto, i Beatles ci avevano abituati. Ecco dal
punto di vista stilistico se i Beatles avessero continuato dove sarebbero
giunti?
Gino Castaldo (sorride) Come
sai con i “se” non si fa la storia. Come diceva Ernesto, in realtà probabilmente
doveva finire così; i Beatles non potevano andare avanti, probabilmente quello
che potevano dare insieme lo avevano già dato, quindi di certo non sarebbe
successo altro. Però fino a quel momento continuava questo implacabile
meccanismo di evoluzione, non erano mai uguali a se stessi, si quello che dici
tu di Abbey Road è vero, ma in realtà ogni disco era qualcosa di diverso da
quello che veniva prima, ed Abbey Road non fa eccezione. Il moog è curioso
perché conferma la loro curiosità giocosa e la fame di capire le novità. Credo
che il moog lo portò George e lo prestò volutamente a John per realizzare il
suo pezzo, insomma, avevano ritrovato molta armonia in quei giorni in cui però
decisero di mettere la parola “fine” all’avventura che li aveva visti
protagonisti assoluti.
Ernesto Assante C’era una volontà di sperimentazione tra di loro molto
ampia, però devi considerare che all’epoca, nello stesso anno, George produce
un disco di pura musica elettronica; forse in quel momento quello che guardava
di più alla musica di avanguardia era proprio lui, perché, come diceva Gino,
ognuno mette in scena la propria individualità nella maniera migliore, però è
il complesso della ricerca che è la cosa più bella. Il long meddle ti dice dove
sarebbero potuti andare? Probabilmente si, ma probabilmente non sarebbero
potuti andare altrove di dove sono andati, quindi, ognuno a creare la propria
musica e ognuno a metter in luce, nei due anni successivi, il loro meglio
perché tra George, John, Paul e Ringo nei due anni successivi tra il ’70 e il
’71 domineranno comunque le classifiche almeno individualmente.
Raffaele Astore Compositivamente parlando, all’interno dell’album
troviamo per la prima volta l’introduzione di uno strumento tipicamente indiano
quale è il sitar. George in una sua intervista ricorda di aver preso in mano lo
strumento cercando di capire come lo si imbracciasse e di aver pensato “che suono
strano”. Ecco, quel suono quanto ha potuto influire sui lavori (per Abbey Road
sappiamo molto) di altri gruppi?
Gino Castaldo Guarda secondo
me erano tutte aperture che schiudevano porte di nuovi mondi. Io sono andato in
India subito dopo per cui, al di là di ciò che accadeva con i Beatles, le
influenze, le aperture erano molto globali il che voleva dire per chi suonava
continuare ad esplorarli, per me ad esempio era quello di andarci fisicamente
cioè un altro modo di scoprire “anche fisicamente” quelle finestre che loro
avevano aperto. Del sitar mi ricordo bene (essendo più vecchio di te) quando
per la prima volta scoprimmo questo suono; c’era l’evocazione di qualcosa di
misterioso e sconosciuto che però noi volevamo andare a conoscere a tutti i
costi.
Ernesto Assante
Molto semplicemente e rapidamente credo che non c’è disco creato dopo la
musica dei Beatles che non debba qualcosa ai Beatles.
Raffaele Astore Ecco qualcosa
che si debba ai Beatles. I lavori della cosìddetta psichedelìa si ispirano per
certi versi a questo lavoro. La ricerca fatta da gruppi, ad esempio come i Pink
Floyd, ma spingendomi oltre anche la ricerca nell’acid rock, per fare un nome
Grateful Dead, risentono una forte influenza di questi ultimi suoni
beatlesiani. I Beatles, possiamo dire con che questo disco hanno creato quel
tappeto sonoro che aiuterà i gruppi successivi a sviluppare un determinato tipo
di ricerca anche musicale. Ecco da quel momento ad oggi quanto questo discorso
si è realmente sviluppato?
Gino Castaldo Non si è sviluppato.
Questo è un disco avanzato per i nostri tempi. Oggi non si fanno più dischi
così, siamo in piena restaurazione, certe strade sono rimaste bloccate per il
momento, si è tornati indietro, magari chissà, anche raccontandole può darsi
che qualcosina riparta.
Ernesto Assante
Mi pare che più di quello che abbia detto Gino basti e avanzi; tutti dicono qualcosa dei Beatles, ma
è abbastanza chiaro che nessuno vuole pagarne il dazio, cioè fare la musica che
i Beatles facevano, rischiare quanto loro, produrre dodici album in sette anni,
cioè …. Questa è una favola che non si ripete.
Raffaele Astore Continuiamo
su questo lavoro (Ernesto fa segno che è tardi e bisogna andare, oltre che
finire di cenare), Lennon dice “ormai ero soltanto io con un gruppo di spalla e
Paul con un gruppo di spalla.
Gino Castaldo A parte Ringo
era giusto quanto pensavano tutti gli altri componenti del gruppo. Ognuno di
loro era della convinzione che gli altri tre fossero un gruppo a sé e di essere
fuori loro, questo è tutto molto bizzarro; tutti pensavano di essere esclusi da
qualcosa e questo era un altro segno che l’armonia si era persa. Però Abbey
Road è il segno anche di quanto, in un momento devastante di crisi, di litigio
magari, fosse forte la consapevolezza della capacità creativa dei Beatles.
Raffaele Astore Con Abbey Road ci sono anche delle aperture in
rapporto anche a quello che stava accadendo in quel periodo, come ad esempio la
guerra in Vietnam, altre situazioni di quel genere, ma ci sono anche dei
riferimenti ad una setta religiosa i cui componenti poi man mano si erano
suicidati. Ecco, anche da un punto di vista sociale questo album, Abbey Road,
ha rappresentato molto per quel periodo. Ed oggi?
Ernesto
Assante I Beatles
erano veramente figli del loro tempo. La musica è senza tempo e quindi tutt’ora
valida, ma tutto quello che raccontavano era legato ad un periodo, gli anni ’60
che erano estremamente rivoluzionari, e cambiarono le coscienze della gente
giorno per giorno cosa che oggi, come diceva anche Gino prima, non succede.
Quindi direi che la capacità di incidere sul reale della musica non c’è più, la
musica di quel tempo, quegli album che cambiavano la vita della gente oggi non
accade più.
Adesso è proprio ora di andare via. E’
vero che ormai siamo dei buoni amici, visto che ogni volta che vengono in zona
riesco a beccarli, ma devo dirvi con tutta sincerità che trovare gente come
loro è diventata cosa rara. Quello che li contraddistingue? Essere semplici,
gentili e soprattutto essere come noi. Ecco perché le loro “Lezioni di rock”
avvicinano sempre più gente alla musica. Studiare così come te lo propongono
loro …. è un immenso piacere. Ciao Gino, ciao Ernesto! Alla prossima.
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